
Quando la moda italiana ha scelto come simbolo gli angioletti di Raffaello Sanzio
Elio Fiorucci: l'Andy Warhol della moda italiana

Keith Haring negli anni 80 firmò con i suoi graffiti il restyling del negozio Fiorucci di Milano.
Elio Fiorucci non è stato solo un grande stilista italiano, ma un vero innovatore culturale, capace di trasformare la moda in un linguaggio visivo carico di significati pop, estetica gioiosa e riferimenti artistici. Fin dagli esordi, il suo universo creativo ha dialogato con l’arte contemporanea, rompendo i confini tra design, street culture e arte visiva. Il linguaggio visivo di Fiorucci è profondamente influenzato dalla Pop Art americana, in particolare da Andy Warhol, Roy Lichtenstein e Keith Haring. Le sue creazioni si muovono su una tavolozza cromatica vivace, fatta di colori saturi, immagini ripetute, simboli del consumo e icone della cultura giovanile. Come la Pop Art, anche Fiorucci ha saputo elevare l’oggetto quotidiano a forma d’arte, rendendo jeans, t-shirt e accessori parte di una narrazione culturale più ampia. Negli anni ’80, Fiorucci diventa anche un mecenate e promotore della Street Art, aprendo le porte del suo negozio di Milano a giovani artisti. Il caso più emblematico è quello di Keith Haring, che nel 1984 realizza un murale all’interno dello store Fiorucci, trasformandolo in un vero e proprio luogo di contaminazione tra arte e moda. Questo approccio ha anticipato di decenni l’attuale tendenza al “fashion meets art”. Il primo negozio Fiorucci a Milano, inaugurato nel 1967 in Galleria Passarella, non era solo un punto vendita: era un laboratorio di idee, uno spazio espositivo, un punto d’incontro per artisti, designer e giovani creativi. In un certo senso, Fiorucci ha creato una sorta di concept store dove l’ambiente stesso diventava esperienza estetica. Il design degli spazi, le installazioni e le vetrine avevano la stessa funzione di un’opera d’arte site-specific: colpire, coinvolgere, comunicare. Un altro aspetto centrale dell'opera di Fiorucci è il modo in cui ha usato la moda per liberare il corpo e raccontare una nuova idea di bellezza. La sua estetica, spesso giocosa e sensuale, è anche profondamente politica. Nei suoi capi c’è l’eco delle lotte per i diritti civili, della libertà sessuale, del femminismo. In questo senso, i corpi vestiti da Fiorucci sono come tele viventi: parlano, si esprimono, fanno arte attraverso il movimento, la danza, la strada. L’eredità artistica di Elio Fiorucci è oggi riconosciuta non solo nel mondo della moda, ma anche nei circuiti dell’arte contemporanea e del design. Le sue collaborazioni, le grafiche iconiche e il suo approccio visionario sono studiati e reinterpretati da nuovi brand e artisti. Mostre e retrospettive celebrano la sua capacità di rendere popolare l’arte e artistica la moda.
Gli angioletti della Madonna Sistina di Raffaello

Vetrina dello store Fiorucci di Londra, con le iconiche t-shirt con gli angioletti, simbolo del brand.
Tra i tanti simboli che hanno definito l’estetica inconfondibile di Elio Fiorucci, pochi sono iconici quanto i due angioletti alati che compaiono in moltissimi dei suoi prodotti e materiali pubblicitari fin dagli anni '70. Sorridenti, curiosi, con lo sguardo sognante rivolto verso l’alto, questi piccoli cherubini sono diventati un marchio visivo immediatamente riconoscibile, legando il brand Fiorucci a un immaginario fatto di ironia, leggerezza e sensualità pop. Ma da dove vengono questi angioletti? La risposta sta in uno dei capolavori assoluti del Rinascimento italiano: la Madonna Sistina di Raffaello Sanzio, dipinta nel 1512 per l'abbazia di San Sisto a Piacenza e oggi conservata alla Gemäldegalerie di Dresda. Nella composizione originale, gli angioletti occupano la parte inferiore del dipinto, sotto la figura imponente della Madonna con Bambino. Originariamente marginali, nel corso dei secoli questi due piccoli putti hanno guadagnato una popolarità quasi indipendente dal resto dell’opera, diventando oggetto di riproduzioni, poster, cartoline, souvenir. Elio Fiorucci ne coglie la forza comunicativa e li ruba con affetto alla tradizione: li ritaglia dalla tela di Raffaello, li reinterpreta con un tocco grafico, li rende più "pop", a volte cambiando i colori dei capelli o il tono della pelle, e li colloca al centro della propria visione estetica. Fiorucci capovolge l'arte ufficiale, ne rivede elementi iconografici trasformati in talismani pop. Appropriarsi dell’arte alta e trasformarla in oggetto di consumo gioioso, senza mai svilirla, ma anzi, rinnovandola. Nel contesto della moda degli anni ’70 e ’80 — sempre più dominata da provocazione, erotismo e ribellione — scegliere due angioletti rinascimentali come simbolo di brand può sembrare una provocazione in sé. Ma Fiorucci li carica di un significato nuovo, ironico e giocoso, perfettamente in linea con il suo stile. Questi angeli non sono messaggeri divini nel senso tradizionale: sono emblemi di libertà, innocenza, desiderio, sospesi tra sacro e profano. Portano con sé la purezza dell’arte classica ma anche lo spirito pop della cultura visuale contemporanea. Sono, in definitiva, la perfetta sintesi dell’approccio di Fiorucci: prendere il sublime e renderlo accessibile, quotidiano, indossabile. Nel mondo Fiorucci, non esiste una barriera rigida tra arte e vita, tra sacro e profano, tra passato e futuro. Gli angioletti raffaelleschi non sono solo un vezzo decorativo, ma un manifesto visivo: ci ricordano che la bellezza può stare ovunque, che anche un capo di abbigliamento può essere veicolo di arte, e che l’arte stessa può vivere nel quotidiano, nei negozi, nelle strade, nei corpi in movimento.
In copertina: Raffaello Sanzio, Madonna Sistina, 1513-1514 circa, olio su tela, 265 × 196 cm, Gemäldegalerie, Dresda. Dettaglio degli angioletti.
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