
Ana Mendieta: ricerca viscerale tra body art, land art e performance
Ana Mendieta: corpo e terra
Ana Mendieta ( L' Avana, 1948 – New York, 1985) è stata un’artista cubano-americana che ha segnato profondamente l'arte contemporanea. Attraverso performance, fotografia, video e installazioni, Mendieta ha esplorato temi di identità, esilio, natura, spiritualità e appartenenza, facendo del corpo femminile e del paesaggio i principali strumenti espressivi del suo lavoro. L’approccio di Mendieta alla performance e alla land art era profondamente site-specific: il luogo, la terra, la materia organica erano parte integrante dell’opera. Questa concezione, che potrebbe superficialmente apparirci banale, è stata una grande intuizione e anticipazione, che si riflette oggi nell’arte relazionale, nell’arte ambientale, nelle pratiche post-concettuali e rituali. Dagli anni 2000 in poi, Mendieta è stata oggetto di retrospettive nei principali musei del mondo ed è stata finalmente inclusa nei manuali di storia dell’arte contemporanea. Oggi è considerata una figura fondamentale per comprendere le pratiche transnazionali, femministe e spirituali degli anni ’70 e ’80.
Sradicamento e ricerca di connessione
All’inizio degli anni Sessanta quattordicimila bambini vengono imbarcati su voli di linea della PanAmerican e fatti sbarcare in Florida, per essere smistati in centri di accoglienza e famiglie. L’“Operazione Pedro Pan” fu il tentativo degli Stati Uniti di destabilizzare l’assetto socio politico di Cuba, puntando su ciò che ogni famiglia aveva di più caro: i propri figli. Con la promessa di ricongiungimenti familiari e diffondendo false notizie rispetto al governo castrista, di fatto numerosi bambini completamente ignari del loro destino furono costretti ad abbondare l’isola per sempre. Tra questi bambini c’è la dodicenne Ana Mendieta, che espatria, nel 1961, insieme alla sorella Raquelín per volere del padre, implicato nell’invasione della Baia dei Porci. Dopo una breve permanenza in un centro d'accoglienza e in alcune famiglie, arriva in Iowa. Le sorelle vengono separate e Ana non vedrà più parte della famiglia fino al 1966. Il padre, incarcerato per slealtà nei confronti di Castro fino al 1979, morirà poco dopo essere arrivato in America. “Era come se fossi stata strappata dal ventre materno” disse l’artista ripensando a quei momenti. Non a caso infatti, l’opera della Mendieta riflette sui temi dell’appartenenza, dei legami e dello sradicamento, in una produzione che per tutta la sua carriera si snoderà in continuo dialogo tra Land Art e Body Art. Un lessico visuale composto dagli elementi della natura - terra, fuoco, aria, acqua – accompagnato dal costante utilizzo del corpo nell’esplorazione del mondo, nella ricerca di una connessione con l’universo. “La mia arte è fondata sulla convinzione che esista un'energia universale che corre attraverso tutto, dall'insetto all'uomo, dall'uomo all'anima, dall'anima alla pianta, dalla pianta alla galassia.”
La violenza e il sangue: Rape Scene e il caso Sara Otten
Ana Mendieta inizia ad avvicinarsi all’arte all’Università dell’Iowa, laureandosi in Pittura (1972) e Intermedia (1977). Durante quegli anni ha una relazione con l’artista e accademico Hans Breder, una figura fondamentale nella sua formazione, che le fa scoprire la nozione di “pratica interdisciplinare”, citando artisti del calibro di Marcel Duchamp, Yves Klein e gli azionisti viennesi come pietre miliari del mondo dell’arte. È al college che capisce anche cosa vuol dire “discriminazione” ed è lì che si avvicina ai temi della violenza e del sangue. Dopo lo stupro e l’omicidio di Sara Otten, avvenuti nel campus, Ana realizza la performance Rape Scene (1973) nel suo appartamento universitario, ricostruendo i fatti di cronaca così come raccontati dalla stampa.
Le Siluetas e le Sculture rupestri

Ana Mendieta, Untitled (dalla serie Siluetas), 1976, Richard Saltoun.
Durante un viaggio in Messico, nella metà degli anni Settanta, Ana dà vita alle Siluetas, opere realizzate creando un’impronta nel terreno con il proprio corpo, che decora poi con pietre, foglie, fiori, legni e che a volte delinea con il fuoco o riempie di vernice rossa.
In queste opere, realizzate tra l’Iowa e il Messico, l'artista tracciava o modellava la sagoma del proprio corpo nel paesaggio — nella terra, nella sabbia, nell’erba, nel fango, nel fuoco o con pigmenti naturali — lasciando un’impronta effimera che evocava la presenza e l’assenza, la vita e la morte, il femminile e il sacro. La silueta non era soltanto un gesto estetico, ma un atto rituale, che richiamava pratiche spirituali afro-cubane e indigene, collegando il corpo alla terra in un legame viscerale.
“Utilizzo la terra come tela e la mia anima come strumento”.
In alcuni casi, si tratta di figure di sabbia create attraverso la loro erosione: quando l’acqua dell’oceano scorreva su di esse, svuotandole e lasciando disperdere il sangue o la tempera rossa che le riempiva. Una delle Silueta più caratteristiche è Alma Silueta en fuego (1975), dove la sagoma è creata con il fuoco in un processo di purificazione-trasformazione-morte. Nel film Silueta de Arena, una sagoma del corpo dell’artista realizzata con la sabbia viene lentamente erosa dall’acqua, fondendo il corpo con il paesaggio. L’opera fa parte della serie di performance “earth body”, in cui l’artista riproduce delle sagome del proprio corpo con elementi naturali, rivelando il suo interesse per una dimensione ritualistica di fare arte e la sua percezione della terra come uno spazio sacro. Nella serie fotografica Burial Pyramid la pratica artistica e la metodologia relazionale dell’artista si rivolgono al mondo naturale, alla memoria e all’archeologia. Nell’estate del 1974, l’artista ha documentato la fusione del suo corpo con la terra, come una forma di testimonianza materiale della presenza storica di una tomba azteca, ritrovata nel sito archeologico di Yagul, in Messico. Le narrazioni frammentate di queste opere testimoniano un senso di precarietà organica e spirituale all’interno della materia stessa. Siti archeologici, suolo, terra, acqua e sangue entrano a fare parte di questo processo di simultanea resistenza e scomparsa, trasformando il corpo dell’artista in un’impronta spirituale, un’immagine dei cicli della natura. Durante la sua infanzia a Cuba, Mendieta rimase affascinata dall’arte delle prime culture umane; l’artista dichiarò nel 1978: “Sembra che queste culture siano dotate di una conoscenza interiore, una vicinanza con le fonti naturali. Ed è questa conoscenza che dà realtà alle immagini che hanno creato. È questo senso di magia, conoscenza e potere che ha influenzato il mio atteggiamento personale verso il fare arte… Usando il mio corpo come riferimento nella creazione delle opere, sono in grado di trascendere me stessa in una volontaria immersione e una totale identificazione con la natura.” Dopo aver viaggiato dal 1980 più volte a Cuba, la sua madre patria, l’artista elaborò una nuova serie: le Sculture Rupestri, rappresentanti delle figure semi-astratte scavate nella roccia o veri e propri totem, come Totem Grave (1984-85), creato con polvere a sparo e tronchi d’albero.
A.I.R. Gallery: una pratica di femminismo
Nel 1978 arriva a New York. Stringe amicizia con le grandi artiste femministe dell’epoca e si unisce alla Artists in Residence Inc (A.I.R. Gallery), la prima galleria d’arte americana dedicata esclusivamente alle donne. Due anni dopo, conclude la sua collaborazione con A.I.R. con queste parole: “Il femminismo americano per com’è ora, è riservato esclusivamente ai bianchi della middle class ." Il suo lavoro, da lì in avanti, fu quello di sfidare questi limiti imposti dalla società."
I Vulcani, gli Archetipi di Terra e gli Alberi della Vita

Ana Mendieta Imágen de Yágul, Mexico 1973 © The Estate of Ana Mendieta Collection.
Sempre agendo sulle Siluetas ad un certo punto inizia a creare una fessura centrale, un taglio che percorre longitudinalmente la forma, che ricorda sia la vagina, sia le fessurazioni provocate dai vulcani; è a questi fenomeni naturali, a questi respiri della Madre Terra, che Mendieta si riferisce utilizzando il fuoco o le braci che fumano per restituire l'idea di cratere. La bocca dei Vulcanos (Vulcani) è il tramite tra l'interno e l'esterno, sia letteralmente che metaforicamente e ne rimane sempre traccia anche quando il fuoco si spegne. Terra e fuoco rappresentano Madre Natura ma contemporaneamente anche la Natura rovinosa, forza generatrice ma anche distruttrice, un ossimoro che si può trovare in molte opere dell'artista, come metafora della contrapposizione tra amore e morte. Della stessa sperimentazione fanno parte gli Archetipi di Terra: opere create con fango, sabbia, terra su supporti di legno. Sono Siluetas ma realizzate per gli interni, con cui l'artista cerca di ricreare gli effetti di degrado e obsolescenza della superficie osservati in Natura. Le installazioni sono considerate da Mendieta come opere "false perché sento di non poter emulare la Natura". Grazie ai materiali naturali mescolati con leganti e all'evaporazione del contenuto liquido riesce ad ottenere delle texture apparentemente autentiche e biologiche. Pur essendo forme femminili con alcuni dettagli anatomici esasperati, archetipiche, esse contengono numerosi segni incisi o dipinti che rimandano a culti ancestrali, come ad esempio il labirinto della vita, il segno della mano, i triangoli, forme appartenenti sia al mondo mesoamericano che alcune culture africane tra cui gli Yoruba, da lei studiate nei primi anni di Università. I primi lavori sugli alberi appaiono già negli anni '70: in una diapositiva a colori da 35 mm catalogata con il titolo Documentation of a untile work from the series of Arbol de Vida (Documentazione di un lavoro senza titolo della serie Albero della Vita) o nella fotografia Arbor de la vida, 1976 l'artista si rappresenta coperta di fango addossata ad un grande albero. Il tema ritorna sotto varie forme come scavi o bruciature, ma sempre in esterno nella natura, lasciando gli alberi dove sono stati individuati o i loro tronchi caduti in posizione orizzontale. È a Roma, nel suo studio presso l'American Academy, che matura l'idea di utilizzare dei tronchi in verticale, manipolandoli ed utilizzando come totem o come scudo (Totem Grove 1983 -1985). La scelta delle essenze necessita di tempo e di confronti con altri artisti e artigiani, (Nunzio e Liberatore in primis) e alla fine opta per un olmo di Villa Sant'Angelo, il paese di Liberatore, tagliandolo a metà e per un platano, caduto nel giardino dell'Academy. Era la prima volta che la Natura prendeva spazio nel suo studio e veniva manipolata e trasformata tramite bruciature con la polvere da sparo per diventare un artefatto, da esporre verticalmente. Le forme generate appartengono sempre al mondo naturale, come rami o foglie, ma vengono esposte in galleria, spostando il naturale nell'artificiale.
L’incontro con Carl Andre e gli anni romani
Nel frattempo però, conosce Carl Andre, celebre pittore e scultore americano della corrente minimalista, è responsabile dell’allontanamento della Mendieta dalla A.I.R Gallery. I due artisti, sebbene le personalità opposte - tangibili anche nelle loro creazioni artistiche - si innamorano. Nel 1983, Ana si trasferisce a Roma, in una residenza per artisti dell’American Academy. Quello italiano è per lei un periodo positivo e fruttuoso: si innamora della capitale italiana e dichiara di sentirsi accettata come mai prima di allora. Mendieta si sente totalmente sé stessa. Con una cerimonia privata, nel gennaio 1985, Ana Mendieta e Carl Andre si sposano a Roma. Pochi mesi dopo essere tornati a New York, Ana confida ad un'amica a il sospetto che Andre abbia avuto un'altra relazione mentre lei si trovava a Roma e lui era impegnato per lavoro a Berlino. In quel periodo la coppia appare comunque rilassata e i due si dedicano alla loro arte e alla vita mondana nella Grande Mela, spesso ospiti di cene con celebri amici. La sera dell'8 settembre decidono di rimanere a casa, ordinando cibo cinese e una bottiglia di champagne. Il corpo di Ana Mendieta verrà ritrovato la mattina dopo sul tetto di un negozio, dopo un volo dal 34esimo piano dalla finestra del grattacielo di New York nel Greenwich Village. La triste fine della vita della giovane artista, che si dedicò anima e corpo all'arte, è tutt'oggi un mistero dai risvolti poco chiari. Andre chiamò quella sera il 911 pronunciando queste parole: “Mia moglie è un’artista, e anch’io sono un artista, abbiamo litigato per il fatto che io fossi, eh, più esposto al pubblico di lei. È andata in camera, l’ho seguita, ma poi è caduta dalla finestra.” (The New York Times. Estratto, 13 febbraio 2015.)
L'eredità di Anna Mendieta
Ana Mendieta mette in discussione le interpretazioni dominanti dell’esistenza umana. Attraverso una serie di azioni corporee in relazione con elementi naturali, l’artista cubana sceglie in anticipo sulla società contemporanea una temporalità lenta, concedendosi ai ritmi della natura e dei rituali. La questione della rappresentazione si incontra e scontra tra l’esperienza biografica e personale e il rapporto con gli elementi organici. Il suo lavoro risulta particolarmente interessante perché rappresenta un’importante precursore delle azioni artistiche e del pensiero critico attuali, in cui il corpo e il femminile sono sempre più protagonisti. La sua ricerca l'ha resa un'antesignana dell’eco-femminismo, anticipandone linguaggio e tematiche molto prima che il termine fosse largamente usato nel mondo dell’arte. Le sue opere mettono infatti in dialogo il corpo femminile e il paesaggio in chiave simbolica, politica e spirituale. Questa fusione tra corpo e natura — spesso vista come una forma di resistenza alla logica patriarcale e capitalista — ha influenzato numerose artiste che lavorano oggi sul rapporto tra ecologia, spiritualità e genere, come Cecilia Vicuña, Terike Haapoja, Mary Mattingly. Mendieta ha usato il proprio corpo come veicolo per esplorare traumi coloniali, identità diasporiche e spiritualità non occidentali. Questo ha fatto di lei una figura chiave per la cosiddetta body art decoloniale, cioè quella corrente di artisti (molti dei quali donne, queer o non occidentali) che usano il corpo per decostruire narrazioni dominanti e ridefinire concetti come appartenenza, bellezza, potere. La sua influenza si ritrova, per esempio, nel lavoro di artiste come: Tania Bruguera, anche lei cubana, che esplora la performance politica e il corpo come sito di resistenza; Zanele Muholi, che usa la propria immagine per affermare identità queer nere e Lina Iris Viktor, che unisce mitologia africana, spiritualità e rituale. Dopo la sua morte violenta nel 1985, Ana Mendieta è diventata un simbolo di denuncia delle dinamiche di potere e sessismo nel mondo dell’arte. Il fatto che Carl Andre, artista minimalista e suo marito, sia stato assolto pur essendo il principale sospettato ha acceso un dibattito ancora oggi attuale su violenza di genere, impunità e potere maschile nelle istituzioni artistiche. In molte mostre, proteste e movimenti — come il collettivo Where is Ana Mendieta? — il suo nome viene usato per denunciare l’assenza di artiste donne e non bianche nei musei e nelle collezioni.
In copertina: Bacayu [Light of Day] dalla serie Sculture rupestri di Ana Mendieta © 2023 The Estate of Ana Mendieta Collection, LLC / Adagp, Paris Courtesy The Estate of Ana Mendieta Collection, LLC and Galerie Lelong & Co
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